La tavola potrebbe provenire dal convento di San Domenico o dal monastero dei Santi Naborre e Felice, detto la Badia, in quanto le generiche descrizioni degli inventari redatti in epoca napoleonica non consentono una certa identificazione. L’opera si inserisce nel contesto della pittura romagnola di inizio Quattrocento e in particolare nell’ambito della bottega riminese di Bitino da Faenza, a cui rimandano la costruzione solida delle figure, il senso pausato dello spazio, la cura dei dettagli narrativi e i caratteri del paesaggio roccioso.

L'opera, unitamente al S. Antonio Abate (inv. 277), faceva parte di un complesso più ampio collocato nell'Abbazia di Monteveglio. "Pittore espressivo ad ogni costo, a spese di un grottesco incontenibile e esasperato" (Longhi), il poco noto pittore mostra qui i rapporti con i maestri attivi nel cantiere petroniano e con la cultura tardogotica lombarda.

Assieme al Trionfo della Fama (inv. 257), in origine decorava la fronte di un cassone; i due pannelli, che erano parte di un più vasto ciclo dedicato ai Trionfi petrarcheschi, utilizzato in contesti nuziali con funzione benaugurale, sono da ascriversi al pittore fiorentino Zanobi Stozzi, uno dei più stretti collaboratori di Beato Angelico. Nelle tavolette il ritmo ondeggiante, molle ed elegante rimanda al maestro, mentre il senso di tornitura che caratterizza i volumi deriva dalle frequenti collaborazioni con il più giovane Francesco Pesellino.

La tavola faceva parte di un complesso in origine più ampio pervenuto in Pinacoteca separatamente dalla stessa Abbazia di Monteveglio.
Esso ha costituito un punto di partenza per la ricostruzione della figura di Martorelli che documenti bolognesi indicano di provenienza lombarda, forse bresciana

Assieme al Trionfo del Tempo (inv. 256), in origine decorava la fronte di un cassone; i due pannelli, che erano parte di un più vasto ciclo dedicato ai Trionfi petrarcheschi, utilizzato in contesti nuziali con funzione benaugurale, sono da ascriversi al pittore fiorentino Zanobi Stozzi, uno dei più stretti collaboratori di Beato Angelico. Nelle tavolette il ritmo ondeggiante, molle ed elegante rimanda al maestro, mentre il senso di tornitura che caratterizza i volumi deriva dalle frequenti collaborazioni con il più giovane Francesco Pesellino.

Le due figure erano nelle ante laterali di un polittico smembrato.
Il nome di Giacomo 'Strazzarolo', scritto sotto il San Giacomo, potrebbe far pensare ad una committenza della Compagnia degli Strazzaroli, già  detta dei Drappieri.
Tale importante Confraternita possedeva più altari in di S. Giacomo Maggiore ma è solo ipotizzabile la provenienza di detto polittico da tale chiesa.
Le sensibili somiglianze con il trittico firmato dal Martorelli fanno collegare quest'opera alla produzione del maestro.