Resa nota dal Longhi (1946), è databile al periodo giovanile del grande pittore cretese, verso il 1567, circa gli stessi anni del Polittico di Modena.
L'artista dimostra di tenere presente sia l'Ultima Cena dipinta da Tintoretto per San Marcuola, che quella di Salviati oggi a Santa Maria della Salute, pur affrontando il tema con il caratteristico cromatismo di derivazione bizantina.

Identificabile con un dipinto ad analogo soggetto che il Malvasia ricordava nella chiesa di Santa Maria Maddalena, è opera assai vicina all'attività  del Bagnacavallo, con cui Pupini collaborò a lungo; a lui lo accomunano il tocco rapido e un'interpretazione di Raffaello in chiave cromatica e naturalizzata.
È palese il richiamo al concerto angelico della Santa Cecilia.

Per molto tempo è stata ritenuta opera del giovane Tibaldi.
Si collega agli esempi qualitativamente più alti del tardo raffaellismo bolognese-ferrarese (Girolamo da Carpi e da Treviso), riflettendo nello sfondo una spiccata attenzione al paesaggio di Nicolò dell'Abate.

È una delle numerose copie e derivazioni tratte dal celebre dipinto raffaellesco commissionato dal cardinale Pompeo Colonna e donato al medico fiorentino Jacopo da Carpi, quasi unanimemente identificato con quello oggi esposto nella Tribuna degli Uffizi a Firenze.
Come l'altra versione del palazzo del Quirinale a Roma, fu già attribuito a Giulio Romano.

Già  attribuita all'attività  giovanile del Tibaldi, quest'opera ha consentito - in seguito alla scoperta della firma nel corso di un restauro - di avviare la ricostruzione critica dell'attività  del Ramenghi Junior.
Si colloca oltre la metà  del secolo, dopo che l'artista era stato a Fontainebleau al seguito del Primaticcio e a Roma col Vasari, e rivela notevoli affinità con la pala di Girolamo Siciolante sull'altar maggiore della chiesa di San Martino (1548).