Assieme alla Sant’Agnese che legge (inv. 18) e alla Santa Cecilia all’organo (inv. 15), fa parte di un gruppo di quattro dipinti dedicati a sante martiri pervenuti in Pinacoteca a seguito delle soppressioni napoleoniche (il quarto, raffigurante Santa Margherita, è oggi in collezione privata a Reggio Emilia). Differenze stilistiche tra le tele fanno escludere l’ipotesi di una serie unitaria e fanno pensare a tempi diversi di esecuzione. In particolare, nella Santa Caterina sono da rilevare l’eleganza misurata dei gesti e la materia pittorica densa e vivace, mentre la” fissità iconografica” rimanda ai modelli di Ludovico Carracci e di Guido Reni.

La tela è il bozzetto della pala, oggi dispersa, commissionata dai Gesuiti di Bologna a Balestra nel 1731 e collocata l’anno successivo nella chiesa di Sant’Ignazio, divenuta in seguito alle soppressioni napoleoniche aula magna dell’Accademia di Belle Arti.
La pratica dei bozzetti pittorici era ampiamente utilizzata da Balestra, che poi conservava i modelli nella sua abitazione. Rispetto alla pala finale, la cui composizione è nota attraverso un’incisione, questo bozzetto se ne distanzia in particolare nella posizione del Bambino e di Sant’Ignazio, dimostrandosi maggiormente dinamico e aereo, caratterizzato da una piacevole leggerezza di forme e colori.

Assieme a un altro Paesaggio con figure (inv. 173), il dipinto proviene dalla sagrestia della chiesa della Madonna di Galliera, a cui probabilmente pervenne per donazione o legato testamentario. I due Paesaggi sono tipici esempi della produzione del pittore di Ratisbona che, influenzato dalle vedute paesaggistiche di Lorrain, Poussin e Salvator Rosa conosciute durante il suo lungo soggiorno italiano, realizzava ampie vedute paesistiche popolate da una quieta umanità di pastori e viandanti.

In origine la tela si trovava nella chiesa dell’Osservanza, sull’altare del vetraio Angelo Michele Raisi, collezionista d’arte nonché amico di Ludovico Carraccci, maestro del Galanino. Nella pala, dal tipico impianto postridentino, i rimandi alla pittura del maestro, evidenti in particolare nella resa dei panneggi e delle lumeggiature, si uniscono alle suggestioni dell’arte di Annibale, a cui rimandano le tonalità morbide, il paesaggio sullo sfondo e il gruppo della Vergine con il Bambino.

Proveniente dall’oratorio della Compagnia di San Giovanni dei Fiorentini, detta anche di San Giovanni Decollato, la tela è da riferirsi all’attività giovanile del pittore veneto, come mostrano l’affondo delle ombre e le suggestioni dalla tradizione carraccesca; oltre all’influenza dell’arte bolognese, le forme vigorose ed espanse mostrano l’influsso dei modelli del barocco romano e di Luca Giordano. Lontana dalla luminosità neoveronesiana già adottata a queste date dal Ricci nella grande decorazione, quest’opera è caratterizzata da forti contrasti e ombre profonde.

Tradizionalmente ritenuto un ritratto allegorico delle tre figlie del pittore, tutte pittrici di professione, il dipinto raffigura le tre arti sorelle Pittura, Musica e Poesia, ognuna identificata dagli attributi tipici, rappresentate come muse. Alle dee antiche e alla danza che intrecciavano allude anche la composizione circolare della tela che, nel suo armonico equilibrio, rimanda all’idea classica dell’unione tra le arti.